L’importanza della memoria e la dichiarazione di monumento nazionale dell’ex campo di prigionia di Servigliano
Quello che è successo a Servigliano è reale; fa parte di un passato prossimo a noi, a questo nostro modo di intendere l’esistenza nel segno di un edonismo privo di valori che la pandemia ha fatto emergere con prepotenza.

Trascrizione della dichiarazione di voto del Sen. Tatjana Rojc (EUROPEISTI – Maie – CD) per la dichiarazione di monumento nazionale dell’ex campo di prigionia di Servigliano. (4 marzo 2021)
Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringrazio chi ha voluto richiamarci, con il disegno di legge in esame, al dovere di mantenere viva non solo la memoria, ma anche l’attenzione su ciò che è stato il “secolo breve”, di cui la storia del campo di prigionia di Servigliano raccoglie le tappe più significative. È una via crucis, le cui stazioni non hanno variato il luogo, ma hanno segnato i destini delle persone.
La soglia che determina questo luogo-non luogo è stata ripetutamente varcata, marcando destini già comunque segnati dalla storia e dall’orrore. Uno spazio raccolto e pervaso dal dolore e dalla paura, dalla consapevolezza del potente che vuole annientare il più debole, ferendo per sempre quello che era il segno di umanità. Quale diritto abbiamo noi di obliare?
«Di tutto questo non c’è più niente», scrive Giovanni Raboni, e aggiunge: «A me sembra che il male non è mai nelle cose». Non è nelle cose, certo, ma i luoghi della memoria non sono più luoghi o cose raboniane che ci riportano indietro. I luoghi della memoria sono testimoni muti di ciò che è stato e che le nostre generazioni, quelle del Dopoguerra, che non hanno prodotto una significativa memoria collettiva, hanno cercato di rimuovere.
Il campo di prigionia di Servigliano raccoglie la memoria delle ombre del “secolo breve” che si impone oggi, ancora e sempre, come necessità per respirare, direbbe Edith Bruck; necessità di cui sono testimonianza la risiera di San Sabba Trieste, ma anche luoghi non ancora riconosciuti come parte inscindibile della nostra memoria: i lager del duce, i campi per i militari, quelli per gli ebrei, per i profughi di ieri e di oggi, quelli per gli oppositori ai regimi totalitari, quelli per chi veniva considerato un diverso. Non illudiamoci che sono cose lontane o che non possano più accadere; non illudiamoci che l’uomo abbia imparato.
Quello che è successo a Servigliano è reale; fa parte di un passato prossimo a noi, a questo nostro modo di intendere l’esistenza nel segno di un edonismo privo di valori che la pandemia ha fatto emergere con prepotenza. Siamo scivolati verso un sistema che vuole far dimenticare ai più le pagine nere della nostra storia, sostituendole con l’illusione che oggi sia il tempo del futuro; ma è il passato a determinare il futuro, non c’è futuro senza una presa di coscienza oggettiva, di cui le istituzioni devono sottenderne l’importanza, e senza la coscienza soggettiva che deriva dalla conoscenza.
È determinante che quest’Assemblea definisca questa discussione dialogando con i “Mani di tutti quelli che non sono tornati” come dice l’autore sloveno Boris Pahor, che ha conosciuto il Novecento in tutte le sue sfaccettature più buie, dal fascismo alla deportazione, fino alla denuncia forte e indelebile, nel 1975, degli eccidi del Dopoguerra, che gli sono costati il divieto d’ingresso in Jugoslavia per due volte e per lunghi periodi.
Illuminante ciò che scrive Primo Levi sul lager che – dice – «è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. […] Il disconoscimento della solidarietà umana, l’indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l’abdicazione dell’intelletto e del senso morale davanti al principio d’autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un’idea». Questo il suo insegnamento.
La delega alla testimonianza non può dunque essere una mera questione dei testimoni, perché allora la memoria è condannata a morire quando verranno meno coloro che possono ancora parlare in prima persona. È lo Stato, invece, a dover avere la responsabilità della memoria che è di tutti; perciò, il gruppo europeista Europeisti-MAIE-Centro Democratico sostiene fortemente la proposta di istituire il Museo nazionale del campo di prigionia di Servigliano che segnò il destino di donne e di uomini dalla Grande guerra e fino agli anni Cinquanta, facendo nostre le parole di Eli Wiesel: «Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».