La necessità di intervenire sul sistema di classificazione del rischio per migliorare la trasparenza e l’efficienza dei dati comunicati, dai tasso di positività a quelli di mortalità e ricoveri.
Intervento del Sen. De Bonis durante la discussione sulla conversione in legge del decreto-legge 14 gennaio 2021, n. 2, recante ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e prevenzione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e di svolgimento delle elezioni per l’anno 2021.

Trascrizione dell’intervento del Senatore Saverio De Bonis (EUROPEISTI – Maie – CD)
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi concentrerò su alcuni profili principali del decreto-legge di cui oggi si discute la conversione; mi riferisco soprattutto alla mancanza di dati, al sistema di classificazione del rischio e alla piattaforma informativa. Una recente sentenza del TAR del Lazio ha detto che il Governo non può più chiudere le scuole senza dati specifici. L’escamotage di collegare la chiusura delle scuole al tasso generale dei contagi pare non sia sufficiente. Dovremmo quindi sapere quanti sono i casi negli istituti e soprattutto i doppi casi nelle singole classi, per capire la trasmissibilità.
È indifferibile, dunque, che l’Italia disponga di una propria rilevazione, di respiro nazionale e con carattere multicentrico, sui determinanti sociali dell’infezione da SARS-CoV-2, attraverso la creazione di una rete di collaborazione tra Istituto superiore di sanità, Regioni e altre istituzioni del mondo la ricerca, come le università.
Come evidenziato di recente dai professori Alleva e Zuliani, i dati finora comunicati non sono utili per capire come stia evolvendo il Covid-19; per esempio, si rileva la discrepanza tra i risultati dati dai test rapidi e quelli dati dagli altri esami diagnostici. In questa incertezza, il dato sul tasso generale di positività risulta poco attendibile; stesso dicasi per i ricoveri e per i dati sulla mortalità, che, a giudizio dei due statistici, è sottostimata.
Quanto al mondo dell’istruzione, appaiono tanto più necessarie una maggiore trasparenza ed efficienza nella rilevazione e nella comunicazione dei dati, come rilevato da un’associazione di 300 professori universitari, che hanno chiesto l’accesso ai dati per capire come vengono stabiliti i colori delle Regioni. Finora questa richiesta non ha avuto risposta, con il risultato che anche questa controversia è finita nelle mani dal TAR.
Non è possibile, a distanza di quasi dodici mesi dall’inizio dell’epidemia, che le principali misure di sanità pubblica siano ancora prevalentemente basate sul principio di precauzione. L’Italia è rimasta una delle poche Nazioni sviluppate che, allontanandosi dalle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, utilizza ancora il criterio dell’accertamento diagnostico attraverso il tampone negativo per la dichiarazione di guarigione, previsto dalla circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020. L’Organizzazione mondiale della sanità e diverse Nazioni, come Stati Uniti, Francia e Belgio, si erano già espresse in merito, delineando in diversi documenti tecnici come tale criterio sia da ritenersi obsoleto e dannoso, determinando un fenomeno di sovraccarico di lavoro anche per il Servizio sanitario nazionale. Questo dato, già da solo, determina un’importante adulterazione delle nostre cifre epidemiologiche nazionali e, di conseguenza, regionali.
Inoltre, il sistema di classificazione del rischio è basato principalmente sul cosiddetto indice RT, che, sulla base delle evidenze più recenti, sembra essere un indice non eccessivamente precoce nel predire il rischio epidemico (presenta, ad esempio, un ritardo medio di una settimana rispetto alle variazioni percentuali). Pertanto, i parametri ad oggi utilizzati fanno correre alla Nazione il rischio di inseguire la curva epidemica nel delineare le azioni della sanità pubblica, piuttosto che prevenire l’epidemia.
Il disegno di legge in esame prevede anche la creazione di una infrastruttura tecnologica a supporto delle azioni del commissario per l’emergenza, per la distribuzione alle Regioni di vaccini e presidi funzionali al processo di vaccinazione, che sia interoperativa con l’Anagrafe nazionale dei vaccini. Tale piattaforma dovrebbe avere anche una funzione sussidiaria rispetto alle anagrafi vaccinali regionali, supportando azioni quali la prenotazione, la registrazione delle vaccinazioni effettuate e la certificazione dell’avvenuta vaccinazione. Su quest’ultimo punto è indifferibile intervenire delineando i requisiti minimi della certificazione di avvenuta vaccinazione, in relazione anche ai possibili utilizzi che questa certificazione potrà avere nel futuro prossimo.
Le informazioni aggregate presenti sulla piattaforma sono accessibili al Ministero della salute, all’Agenzia italiana del farmaco e all’Istituto superiore di sanità. Per le attività di valutazione di immunogenicità, invece, i dati disaggregati e nominativi sono resi disponibili solo per l’Istituto superiore di sanità. Questa previsione andrebbe aggiornata, come hanno riferito nelle audizioni alcuni illustri docenti, conferendo la visibilità dei dati disaggregati anche all’Agenzia italiana del farmaco, al fine di consentire alla stessa un migliore esercizio delle attività di farmacovigilanza.
In ordine alle previsioni del disegno di legge, devo innanzitutto evidenziare come le originali previsioni del Piano strategico per le vaccinazioni in materia di scadenziario delle popolazioni target dell’intervento vaccinale dovranno essere con urgenza riviste in relazione all’effettiva disponibilità di vaccinazioni, nonché alle limitazioni previste nell’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino prodotto dalla ditta AstraZeneca.
È inevitabile che la disponibilità di dosi di un vaccino idoneo all’immunizzazione di soggetti al di sotto dei cinquantacinque anni di età porti all’opportunità di anticipare le vaccinazioni di categorie di giovani adulti lavoratori. Nell’impossibilità di una protezione diretta dei soggetti più anziani e fragili, dovrà essere percorsa la strada dell’immunizzazione di larghe fasce di popolazione a maggior rischio di contrarre l’infezione, al fine di raggiungere, almeno parzialmente, l’obiettivo di incidere sulla circolazione del virus, andando a modificare, attraverso questo obiettivo, il dato di morbilità e mortalità.
In quest’ambito andranno privilegiate scuole e università, in quanto il danno principale che la pandemia sta creando al nostro Paese è proprio quello relativo alla formazione delle nuove generazioni. Gli effetti di questo danno condizioneranno più degli altri la possibilità di sviluppo dell’Italia nei prossimi trenta, quarant’anni.
Non è il caso di ribadire che la pandemia continua ad avere ripercussioni significative sulla vita reale delle persone, delle famiglie e degli operatori economici. Nella mia Regione, appena dichiarata zona rossa, la questione si è spostata dal piano tecnico-scientifico a quello politico, con una querelle tra il Presidente della Regione e le singole amministrazioni. Ciò non sembra essere utile al confronto tra i diversi attori in campo chiamati a gestire, ciascuno per la propria parte, l’emergenza sanitaria. La dichiarazione della Basilicata come zona rossa non è stata una scelta della Regione, ma esclusiva del Ministero alla salute, e la decisione è fondata su parametri che, per quanto oggettivi, non tengono conto della specificità dei territori.